Guatemala diario di viaggio – racconto di un tour di 12 giorni

Il mio diario di viaggio in Guatemala, un tour di 12 giorni realizzato nel 2018 con la mia famiglia, in cui abbiamo visitato il Guatemala a fondo, tralasciando solo la costa del Pacifico. Un Paese che ho nel cuore per i tanti ricordi e per il suo stretto legame con le tradizioni Maya.

DIARIO DI VIAGGIO IN GUATEMALA
1° giorno: Aeroporto di Guatemala – Antigua
Il mio primo viaggio in Guatemala risale al 1995 quando, approfittando di una riunione a Madrid per un progetto internazionale su cui lavoravo ai tempi del WWF, allungai la rotta e, invece di rientrare in Italia, prosegui per il Guatemala, dove mi raggiunse Andrea, il mio inseparabile compagno di viaggi di allora.

Ora mi trovo in volo con tutta la mia famiglia: Anna, mia moglie, Lorenzo e Dario i nostri pargoli di più di 180 cm ciascuno…. Ad attenderci in aeroporto Edwin, la nostra guida/autista che ci accompagnerà durante questi 12 giorni.

L’atterraggio a Città del Guatemala è in perfetto orario. Ci immergiamo subito nel traffico e in circa 1 ora, grazie anche alle scorciatoie conosciute da Edwin, ci ritroviamo nelle nostre stanze che si affacciano sul patio del Camino Real di Antigua, una bella dimora storica. Usciamo giusto per gustare dei tamales, dei fagottini di mais ripieni di pollo, avvolti in una foglia di banano.


2° giorno: Antigua 

Ho sempre considerato Antigua un gioiello non solo del Guatemala ma di tutto il Centro America. Ovviamente si fregia del titolo di “Patrimonio dell’Umanità” UNESCO. Non potrebbe essere altrimenti visto il suo ricco patrimonio di edifici coloniali e di chiese mantenuto in buono stato.

A questo si aggiunge l’aspetto scenografico. Antigua giace infatti in una vallata attorniata da tre vulcani: Agua, Fuego e Acatenango. La ammiriamo dall’alto del Cerro de la Cruz (Collina della Croce) che a abbiamo raggiunto a piedi dal centro di Antigua subito dopo colazione.


Antigua è l’antica capitale del Guatemala (da cui il nome antigua). Distrutta dal terremoto Santa Marta nel 1773, ha poi ceduto il ruolo di capitale a Guatemala City, ma le è rimasta il ruolo di città più bella e affascinante del Paese. Il posto più fotogenico e più noto è sicuramente l’Arco di Santa Catalina che si tende tra due palazzi, incorniciando una strada, con lo sfondo il vulcano Agua. Fu costruito alla fine del ‘600 per fare in modo che le suore di clausura potessero passare dal convento alla scuola mantenendo l’isolamento.


Ci dilunghiamo a esplorare le rovine della Catedral de Santiago, distrutta dal terremoto del 1773. Quello che rimane è decisamente suggestivo; la vegetazione ricopre una parte del terreno o fa capolino tra le crepe dei muri. Quello che è rimasto in piedi sono dei pezzi di colonne che sorreggono i resti di arcate di mattoni.

Decisamente più in salute l’iglesia de San Francesco, la prima costruzione di Antigua, in cui si sono tenute funzioni religiose; tra le rovine dell’attiguo monastero ci immortaliamo accanto all’ albero degli innamorati, dove le coppie vanno a incidere le loro iniziali per augurarsi l’amore eterno. Forse la chiesa più bella è l’Iglesia del la Merced, merlettata all’esterno al punto da sembrare ricamata a mano. Viene considerata la più ampia del Centro America.


Il bello di Antigua, così come di altre città, è di conoscerla perdendosi tra le sue via acciottolate, curiosando tra gli edifici e incontrando la sua gente. Verso le 17 partiamo alla volta di Chichicastenango, per essere pronti, all’alba, a immergerci in uno dei più famosi mercati del Centro America!

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I


3° giorno: Chichicastenango
Oggi è giovedì, giorno di mercato a Chichicastenango. Ci svegliamo all’alba e arriviamo al mercato quando ancora diverse bancarelle devono essere montate. Ci aggiriamo così, come primi visitatori, e veniamo tentati all’acquisto da varie parti. Edwin ci dice che per fare buoni affari bisogna comperare all’inizio del mercato, in quanto un affare di buon mattino, viene vissuto come un buon auspicio per l’intera giornata dai venditori, inclini quindi a cedere sul prezzo.


La cosa meravigliosa di Chichi (come viene soprannominata dal cittadina) è come il sacro si mischi al profano.
Nella grande piazza si fronteggiano due chiese. Quella di Santo Tomás e quella di Capilla del Calvario.
Entriamo  a Santo Tomás e troviamo il pavimento coperto da candele, chicchi di mais, fiori e… bottiglie di liquore, le offerte dei fedeli. Una scena incredibile. Quando usciamo siamo immersi dai fiori: ha avuto inizio il loro mercato dei fiori, proprio sui gradini della chiesa, che sono ricoperti di gigli, rose, e altre specie floreali mentre donne e uomini, in abiti tradizionali, mercanteggiano sui prodotti.


Oltre al giovedì, l’altro giorno di mercato di Chichi è la domenica. Questo evento è così fondamentale per il turismo guatemalteco, che tutti i programmi dei tour in Guatemala sono condizionati dalla partecipazione al mercato. Le bancarelle dedicate ai turisti traboccano di tessuti, tappeti, copriletti, borse, cinture, maschere.

Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Io ho “già dato” abbondantemente nei mei viaggi precedenti nel Paese, per cui c’è giusto lo spazio per acquistare un paio di cinture per i ragazzi. Dopo più di 20 anni mi godo ancora con Anna uno splendido copriletto in lana fatto al telaio acquistato per US$ 25 nel 1995!

Straordinaria è la sezione più “indigena”, dove si vendono frutta, verdura e animali. E’ qui che pulsa il cuore di Chichi e dell’intero Guatemala ed è lì che ci dirigiamo, poco dopo la nostra uscita dalla chiesa.

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La mescolanza della religione cattolica con quella indigena traspare chiaramente. Edwin ci conduce su una vicina collina dove si trova si trova il Pascual Abajo, frequentato dagli abitanti della cittadina per adorare Huyup Tak’ah, il dio maya della Terra, venerato con una serie di altarini e di fuochi.

Chiudiamo la visita al Centro Comercial Santo Tomás, lungo il lato settentrionale della piazza principale. Oltre ad avere la possibilità di assaggiare dell’ottimo “street food”, dalla terrazza superiore si possono scattare immagini superbe delle attività commerciali che si svolgono qualche metro sotto di noi.

A metà pomeriggio prendiamo la strada per il Lago Atitlan, di origine vulcanica, che lo scrittore britannico Aldous Huxley descrisse così: “Atitlan è come il lago di Como con abbellimenti supplementari di numerosi vulcani immensi. Davvero eccezionale”.

La cultura Maya è fortemente radicata in questa zona, ed è molto facile incontrare gli abitanti vestiti in modo tradizionale.  Soggiorniamo a San Marcos La Laguna a Lush Atitlan in una delle magnifiche stanze con vista sul lago.


4° giorno: Atitlán
Oggi giornata dedicata al lago Atitlán, una delle  principali attrazioni del Guatemala per il suo clima mite, il colore verde-blu delle sue acque, per la magnifica scenografia offerta dalle sue tre sentinelle, i vulcani Atitlán, Tolimán e San Pedro che lo circondano.  Dulcis in fundo, i 12  paesi (in alcuni casi, come Panajachel, delle cittadine) che lo popolano. Atitlán è stato scoperto da un po’ di tempo dal mondo alternativo occidentale, per la spiritualità che emana.

Diversi europei e americani hanno lasciato le loro patrie per stabilirsi qui e, rispetto a quando sono venuto per la prima volta nel 1995, l’urbanizzazione delle sponde, causa ville, hotel, guest house è certamente aumentata. Anche la qualità delle acque non è più la stessa, anzi. L’inquinamento si fa sentire; spero che i depuratori che non mancano nella zona, inizino a far sentire gli effetti del loro lavoro. Il lago continua però a mantenere il suo fascino.


E’ una sensazione che ho aggirandomi tra i vicoli di San Marcos, che trasuda tranquillità e una magica atmosfera. Visitiamo diversi atelier di pittura o tessili, fatti a uso e consumo dei turisti, ma che sono comunque molto originali e che valorizzano la realtà e le tradizioni locali.

Approdiamo a Santiago Atitlán. Una cittadina, ci racconta Edwin, che non ha avuto molto fortuna negli ultimi decenni. Venne infatti duramente colpita dalla guerra civile in Guatemala. I guerriglieri dell’ORPA si stabilirono qui per la sua posizione strategica. La popolazione locale fu coinvolta così, suo malgrado, nelle azioni di guerra tra l’esercito guatemalteco e i guerriglieri. Entriamo nella Iglesia Parroquial Santiago Apóstol, vicino alla piazza principale.

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Una targa commemora padre Stanley Rother, missionario americano che ha fatto molto per la popolazione locale e che venne assassinato dagli squadroni della morte. Dozzine di statue di santi fiancheggiano le mura della chiesa, vestiti con abiti indigeni. Rappresentano la fusione tra cattolicesimo e la cultura Maya. Le tre pale d’altare della chiesa raffigurano i tre vulcani che circondano la città, che si ritiene proteggano il villaggio.

Quello che ci aspetta, uscita dalla chiesa, ha dell’incredibile. Edwin ci porta sicuro in una casa privata, dove viene venerato Maximon, un santo popolare molto amato.

Maximon è una dimostrazione tangibile di sincretismo, ossia dell’unione delle credenze religiose maya con quelle cattoliche.  Viene accudito 24 ore su 24 da due persone, il cui lavoro è di servirlo a tempo pieno.
Il suo corpo di legno è vestito con un tipico abito maschile della regione, ricoperto da sciarpe e indossa una cravatta. I custodi gli passano le offerte dei credenti, generalmente sigarette, sigari, denaro o alcolici. Mi fermo qui e non vado oltre. Su Maximon puoi infatti leggere questo mio specifico post al cui interno troverai anche un video.

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Usciamo dalla casa decisamente stupiti dal rito a cui abbiamo assistito e riprendiamo il nostro viaggio alla volta di Quetzaltenango, la seconda città più grande di tutto il Guatemala. Il nome gli è stato affibbiato dagli alleati messicani del Conquistador Pedro de Alvarado, ma i locali la chiamano più comunemente  Xelaju, o Xela in breve.

Ammiriamo nel centro le belle case e gli edifici di epoca coloniale dei bei tempi che furono della cittadina, che ebbe nel diciannovesimo secolo il suo periodo di massima gloria, grazie alla coltivazione del caffè.
Siamo qui perchè Xela è l’ideale punto di partenza per salire sul  vulcano Tajumulco (4.220 m.), il punto più alto dell’America centrale.

5° giorno: vulcano Tajumulco, Zunil e Fuentes Georginas
La sveglia è all’alba e con un paio di cambi di bus, verso le 8.30 ci troviamo all’inizio del sentiero che ci porterà in vetta al Tajumulco. Sono con Lorenzo e Fausto, la guida che ci accompagna. Ci rendiamo conto che senza Fausto ci saremo persi immediatamente o, meglio, non avremo neanche trovato il sentiero. Mancano completamente le indicazioni e, in più, non esistono comunque cartine escursionistiche.


Il sentiero è comunque facile e la salita non è impegnativa; dobbiamo superare un migliaio di metri di dislivello ma siamo allenati e saliamo senza fatica. La vegetazione è sempre presente, dirada giusto poco prima della cima, quando anche l’altitudine si fa leggermente sentire. In cima, tra le rocce, troviamo un altarino dedicato a Pacha Mama.


Il ritorno è spettacolare; siamo infatti su una delle mitiche “camioneta”,  dei bus di seconda classe riconoscibili a distanze per il fumo grigio che emanano, meglio noti nel mondo occidentale come “chichen bus”. Sono  infatti degli ex scuola bus americani, che in Centro e Sud America hanno  una seconda ma anche terza o quarta vita, grazie al motore rifatto e irrobustito e la forte personalizzazione della carrozzeria da parte del proprietario.

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Si fermano ovunquenon hanno problemi di capienza: viaggiare stipati con tanti altri passeggeri è la norma. Infatti ci troviamo in 4 su un sedile che in Italia sarebbe dedicato a due persone. La strada è a curve e l’autista ci dà dentro; non so se ha qualche appuntamento da rispettare, ma la guida è decisamente sportiva. L’aspetto più incredibile è che mentre il bus procede a tutta velocità in discesa su una strada di montagna, il bigliettaio, un agile ragazzo che non ha passato la ventina, si muove all’esterno del bus, tenendosi al portapacchi sul tetto e poggiando i piedi su minuscoli cordoli che percorrono la lunghezza del bus.

In questo modo, considerando che il mezzo è stipato all’inverosimile, può raggiungere la porta posteriore, dove fare i biglietti alle persone che sono salite da quella parte. Incredibile!

In hotel, l’esagerato e ottimo Casa las flores, Anna e Dario ci raccontano entusiasti della loro giornata passata a esplorare con Edwin la miriade di villaggi sparsi negli altopiani di Xela,  tra cui Zunil , in cui sono incappati nello splendido mercato in cui erano gli unici turisti e a Fuentes Georginas, dove se ne sono stati a mollo nelle terme all’aperto, contornate da belle montagne.


6° giorno: Quetzaltenango-Rio Dulce
Giornata di trasferimento verso Rio Dulce , in cui siamo incappati in una manifestazione, con blocco stradale, in vicinanza dei confini con l’Honduras. I dimostranti protestavano perché, dopo essersi attaccati abusivamente a centraline e a cavi elettrici per utilizzare a ufo la corrente, il gestore ha deciso di tagliare la fornitura, per costringerli a pagare.

Rimaniamo bloccati in questa assurda protesta, assieme a migliaia di altri automobilisti e camionisti, che viene ripresa da radio, televisioni e giornali. La coda che si è formata è di decine di chilometri; per fortuna siamo abbastanza all’inizio.

Finalmente, verso le 5 del pomeriggio, la situazione si sblocca e possiamo  riprendere la strada. Ci perdiamo le stele e i calendari scolpiti dai maya di Quiriguá, sito Patrimonio dell’Umanità, e raggiungiamo solo verso le sette di sera il Tortuga River Lodge a Rio Dulce.

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7° giorno: Rio Dulce
Rio Dulce è un altro posto dove è possibile trovare pace, tranquillità e molta natura. Oggi ci attende una bella escursione lungo il fiume, che scenderemo sino a arrivare a Livingstone, lo sbocco del Guatemala sul mar dei Caraibi.

Iniziamo la giornata visitando il Castillo de San Felipe, una bella antica fortezza costruita per combattere i pirati e, in seguito, trasformata in prigione.  Ci imbarchiamo poi su un’agile lancia e iniziamo a percorrere la Cueva de la Vaca, una impressionante gola ammantata da una rigogliosa vegetazione che parte dal lago Izabal.


Lungo il percorso ci imbattiamo in una sorgente termale di acqua sulfurea. Ci sono delle persone a mollo nell’acqua calda, che sgorga direttamente nel fiume; il colore marroncino del Rio Dulce non ci invita a unirsi alle gente. Poco dopo passiamo accanto alle Islas de Pajarospopolate da migliaia di uccelli acquatici, tra cui scorgo cormorani, aninga, dal lungo e flessuoso collo, e aironi.

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Infine, dopo circa un’oretta di navigazione, arriviamo a Livingston, in prossimità del confine con il Belize.  Proseguiamo per Los Sietes Altares“i sette altari”.  È una serie di cascate e piscine naturali in cui mettersi a mollo, che raggiungiamo risalendo lungo un piccolo fiume che attraversa una foresta lussureggiante, dopo essere sbarcati su una piccola spiaggia, a qualche chilometro da Livingstone.


Ritorniamo nella cittadina per ora di pranzo e ci dedichiamo, su consiglio di Edwin, al mitico tapado, un piatto di origine caraibica: è uno stufato di pesce cotto nel latte di cocco. Sublime!

Livingstone fa storia a sé rispetto al resto del Guatemala, sia perché è stata storicamente isolata rispetto al resto del Paese, sia perché gli abitanti sono in buona parte di etnia Garífuna, discendenti di schiavi fuggiti e nativi delle Piccole Antille. La  lingua Garífuna mescola Arawak, Carib, francese, inglese, spagnolo e alcune parole africane. Le atmosfere Maya qui sono completamente assenti, mentre quelle predominanti sono quelle caraibiche.


Il locale in cui siamo diffonde musica Punta, una miscela di ritmi dell’Africa occidentale e caraibica,  sostenuta in particolare da due tipi di tamburi; un ritmo caotico e veloce, perfetto per un ballo “ancheggiante”.

Ci aggiriamo nel dopo pranzo per la sonnacchiosa e un po’ polverosa Livingstone, accompagnati da un paio di  cani che cercano temporanea compagnia o, molto più verosimilmente, ci vogliono impietosire per scroccarci qualcosa da mettere sotto i denti. Il ritorno è veloce e senza soste; la giornata è stata lunga. Arriviamo al lodge al tramonto, in tempo per stappare delle birre e berle con contorno di nachos e guacamole. Per cena ci aspettano degli ottimi pesci alla brace con platani fritti.


8° giorno: Livingston – Río Dulce – Petén
Giungiamo a Flores a metà pomeriggio, dopo un viaggio lungo ma piacevole,  che ci ha portato nel Petén. Ci sgranchiamo le gambe aggirandoci per Flores, collocata su una piccola isola sul lago Petén Itza, e collegata a Santa Elena e San Benito da una strada rialzata. Le tre cittadine sono spesso indicate collettivamente come Flores, in onore di Cirilo Flores, uno dei primi leader indipendentisti del Guatemala.

Flores è molto carina, con edifici coloniali dai tetti rossi, strette strade di ciottoli e molti ristoranti e hotel. Il piccolo centro è un luogo tranquillo e pacifico, a differenza della vicina Santa Elena, più moderna e trafficata.


Finiamo per farci un aperitivo verso l’ora del tramonto da Raíces, invogliati dal piacevole clima che ci fa indugiare a lungo sulla terrazza che domina il lago. Da qui, scivolare verso la cena, è un attimo, visto che la brace è già pronta e che abbiamo già iniziato, anche qui, a pasticciare mangiando nachos con vari salsine, sorseggiando degli ottimi batidos allungati con del gin. La grigliata mista di pesce, verdure e carne ci soddisfa pienamente.


9° giorno: Tikal
Mi fa sempre un certo effetto aggirarmi per Tikal, così come Machu Picchu o a Palenche. Cittadine piene di vita, abbandonate poi per motivi per lo più ignoti, divorate dalla giungla e poi riscoperte, dopo centinaia di anni, e riportate alla luce, mute testimoni della storia dell’uomo.

Un tempo dimora di 100.000 abitanti, Tikal era una delle città più importanti dell’impero Maya.  Visse per un migliaio di anni e il suo declino divenne inarrestabile nel X secolo d.C. Venne  poi riscoperta a metà del 1800.
Oggi è uno dei più importanti siti Maya, con oltre 4.000 reperti, i più antichi dei quali risalgono all’800 a.C. circa.


Sarò sacrilego, ma quello che mi piace di più di Tikal è la sua scenografia.  I templi, come l’imponente Tempio del Giaguaro Gigante, alto 44 metri, emergono da una fitta foresta, che ancora oggi cela migliaia di reperti che attendono di essere scovati e ripuliti. Così è per tutta l’area del Petén. 

Tikal fa parte di un grande parco nazionale, che ospita scimmie ragno e urlatrici, pappagalli, tucani, are, aguti in cui è possibile imbattersi camminando nel sito. Facciamo la conoscenza con una famigliola di coati, che si aggira tra i tavoli di un posto di ristoro alla ricerca di facile cibo.
Vista l’esperienza positiva del giorno prima, Raíces ci accoglie nuovamente con la sua terrazza per una eccellente apericena.


10° giorno: Flores – Cobán
Oggi giornata di trasferimento da Flores a Cobán, da non confondersi con Copán in Honduras e celebre per le sue rovine Maya. Il viaggio prende quasi tutta la giornata, in quanto bisogna coprire quasi 400 chilometri e le strade in Guatemala sono trafficate. Anche oggi, comunque, il tempo vola via attaccati al finestrino a vedere paesaggi, gente, paesini.

Cobán, ci spiega Edwin mentre passeggiamo nella cittadina circondati da un’atmosfera tranquilla e operosa, è la  capitale dell’Alta Verapaz. Le colline intorno alla città sono la fonte di alcuni dei migliori caffè e cardamomo del Guatemala; in più si stanno creando le basi per un promettente indirizzo ecoturistico del turismo.

Chipi-chipi, il nome onomatopeico dato alle nebbie morbide e perpetue di Cobán, sono le “responsabili” del paesaggio lussureggiante e dei terreni fertili della città. Il clima è caldo e il sole non rimane nascosto a lungo, come testimonia la nostra fine giornata tersa.

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Rispetto al resto del Guatemala, questa regione è molto attenta alla conservazione del patrimonio Maya. Molte donne a Cobán vestono ancora nei loro diversi huipiles, e la maggior parte dei residenti parla Q’eqchi ’come prima lingua. Gli abitanti di alcuni villaggi circostanti parlano correntemente solo il loro dialetto nativo.

Pernottiamo al Don Juan Montalbaz, che ha il pregio di essere un hotel in posizione centrale e di avere un patio con un lussureggiante giardino. Per cena ci portiamo da un giardino all’altro, e ci sistemiamo in quello di  Xkape Koba’n, un ristorante suggeritoci da Edwin, che propone degli ottimi piatti indigeni e dei buonissimi dolci.


11° giorno: Lanquin & Semuc Champey
Oggi andiamo a conoscere due posti in Guatemala che, confesso, non avevo ancora visitato e che inizierò a proporre nei miei tour. Per farlo, abbiamo cambiato auto, siamo ora su una Hyundai 4×4 e stiamo percorrendo delle splendide colline, in cui piantagioni di caffè si alternano a foresta tropicale.

E’ un panorama che mi ammalia e che penso di avere ammirato dall’alto quando abbiamo iniziato a scendere con l’aereo verso Città del Guatemala, nel giorno del nostro arrivo. Una volta imboccata una strada secondaria, il percorso diventa sempre più accidentato, sino quando approdiamo a Lanquin, conosciuto per il suo incredibile sistema di grotte, che si trova poco fuori il centro abitato. Il sito è ancora “ruspante” dal punto di vista della organizzazione turistica.

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Entrando nella grotta, rimaniamo sbalorditi dalle sue dimensioni. Alcune parti raggiungono un’altezza di 60 metri. Le formazioni impressionanti di gigantesche stalagmiti e stalattiti sono sorprendentemente surreali. Troviamo un’area, in cui i locali svolgono ancora rituali maya, per pregare per un buon raccolto. Una enorme colonia di pippistrelli  abita le grotte; lo spettacolo, ci assicura Edwin, è al tramonto, quando escono per andare a caccia. Sembrano nubi di fumo nero, tanto sono fitti, come se all’interno della grotta divampasse un incendio.


Riprendiamo per Semuch Champey, a 11 km da Lanquin. E’ un posto che, dal punto di vista naturalistico e paesaggistico, rientra tra le tre località più belle del Guatemala assieme a Tikal e il lago Atitlán. A me ha ricordato per diversi aspetti i laghi di Plivitce, in Croazia, sia per la limpidezza e il colore turchese-smeraldo delle acque, sia per la presenza di piscine naturali. A Semuc Champey  un ponte naturale calcareo lungo 300 metri, crea  infatti una spettacolare serie di laghetti, decisamente irresistibili!  Sono perfette per rinfrescarsi dal caldo.

Le piscine siano circondate da fitte foreste, ma sono state costruite passerelle in legno per consentire un facile accesso. Seguiamo il sentiero che ci conduce alla parte superiore delle piscine, dove il fiume inizia a scorrere sotto il ponte di pietra calcarea.

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E’ una giornata che vola via veloce, baciata com’è dal sole. Tuffarsi nelle pozze è un piacere, per cercare sollievo dal caldo; sott’acqua,  molti pesciolini  nuotano e  ci mordicchiano i piedi.
Dopo pranzo prendiamo un ripido sentiero che conduce, in una ventina di minuti, a un punto panoramico da cui ammiriamo Semuc Champey dall’alto. La vista è veramente spettacolare.


Anche qui si trova un sistema di grotte, Cuevas de K’anba, che rivaleggia con quelle di Lanquin; decidiamo però di non entrare… abbiamo già dato questa mattina!
Arriviamo a Cobán con il buio e ci dirigiamo ancora per la nostra ultima cena in Giatemala a Xkape Koba’n; il posto è molto carino, il giardino confortevole, il cibo squisito; perché cambiare?


12° giorno:  Biotopo del Quetzal
 – Città del Guatemala – Guatemala Airport
Abbiamo il nostro aereo nel pomeriggio. Così programmiamo un paio di soste prima di imbarcarci.
La prima è al Biotopo del Quetzal, una delle principali aree protette del Guatemala. Si trova a circa un’ora da Cobán, ed è il luogo giusto per vivere una foresta pluviale nebulosa.
La stagione gusta per avere qualche probabilità di vedere il Quetzal, l’uccello nazionale del Guatemala, è il periodo della deposizione delle uova, che va da marzo a giugno. Bisogna però svegliarsi all’alba e mettere in conto delle uscite a vuoto, senza poter scorgere il magico volatile.

Ci incamminiamo lungo il Sendero los Musgos, lungo circa 4 chilometri. L’altro percorso, il Sendero los Helechos, è decisamente molto più breve. Entrambi conducono a cascatelle e piccole piscine naturali, dove è consentito nuotare ma in cui noi ci limitiamo a sentire la temperature dell’acqua. Semuc Champey ci ha saziato.

Riprendiamo la strada e arriviamo in poco più di 3 ore a Città del Guatemala. Mi spiace dirlo, ma non ho ancora trovato un guatemalteco che affermi che la capitale sia un posto sicuro e tranquillo, cosa che invece tutti quanti assicurano per il resto del Paese.

Edwin ci porta in pieno centro. Siamo fortunati, in quanto riusciamo a infilarci al volo in una visita guidata al Palacio Nacional de la Cultura, uno degli edifici più interessanti e belli di Città del Guatemala.

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La struttura in pietra verde fu terminata nel 1943 dal dispotico generale Jorge Ubico e la visita dell’edificio offre una visione unica della sua dittatura egocentrica. Il numero cinque è un motivo comune nel palazzo, perché sia ​​Jorge che Ubico hanno cinque lettere. I semafori a cinque luci (uno rosso, due gialli, due verdi) fiancheggiano le pareti e venivano utilizzati per segnalare ai dipendenti di ritirarsi nei loro uffici, quando importanti figure politiche erano presenti  nell’edificio. Interessante anche il fatto che la pietra verde sia stata scelta per essere il colore preferito della moglie di Ubico. Un’altra chicca è il centro della grande sala da ballo del palazzo, che segna il KM 0 della Panamericana.

Ricco di architettura decorata,  di vetrate colorate e affascinanti murales, il palazzo è più coerente con il passato coloniale di Città del Guatemala che con l’epoca in cui è stato costruito.

La guida ci porta al Patio de la Paz nel cortile occidentale, dove si trova una statua con due mani unite, che  tengono una vera rosa bianca, cambiata ogni giorno alle 11  da una guardia.  E’ stata posata nel punto in cui, nel 1996, furono sottoscritti gli accordi di pace, che posero fine alla guerra civile nel Paese. Funge da memoriale per quel tormentato periodo della storia guatemalteca.

Usciamo e nel mezzo della piazza chiediamo a un militare di scattare la classica foto ricordo. Il volo per il Nicaragua ci aspetta, ma questa è un’altra storia.

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Mi chiamo Roberto Furlani e lavoro con passione nel Turismo da 30 anni, di cui 15 passati a dirigere l’Ufficio Turismo del WWF Italia (Fondo Mondiale per la Natura) e 12 come Tesoriere di AITR (Associazione Italiana Turismo Responsabile).

Grazie anche a questa ricca esperienza sono oggi Responsabile Prodotto e Tour operator per Evolution Travel (il Network che conta più di 600 consulenti di viaggio on line), per cui ho creato più di 120 programmi di viaggio, con cui potrai scoprire il Centro-Sud America!

Troverai tutta la mia storia nel “chi sono”; aggiungo solo  che per 22 anni sono stato giornalista pubblicista delle pagine scientifiche del Corriere della Sera. E’ stato così per me estremamente naturale dare vita al Travel Blog in cui ti trovi e creare più di 350 post e video che, spero, ti aiuteranno a conoscere e amare intensamente come me questa Regione del nostro Pianeta.

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