Immagina durante il tuo viaggio in Guatemala di camminare per giorni in una giungla fitta, tra ceiba giganti coperte di liane, scimmie ragno che scrutano dall’alto e impronte di giaguaro impresse nel fango.
All’improvviso, dietro un muro di vegetazione, spunta una scalinata colossale: sei arrivato a El Mirador, la “città madre” del mondo maya.
Questo sito archeologico – nascosto nell’estremo nord del Guatemala, a quasi duecento chilometri di selva dalla prima strada asfaltata – è più antico di Tikal e vanta la piramide più grande per volume dell’intera Mesoamerica.
Raggiungerlo non è una gita domenicale: occorrono cinque-sei giorni di trekking (o un costoso volo charter) fra fango, zanzare e pioggia tropicale.
Ti accompagnerò in questo post alla scoperta di El Mirador.
Sono Roberto Furlani, esperto di Centro-Sud America e del Guatemala (per cui, come tour operator, ho creato più di 17 programmi di viaggio) e ho oltre 32 anni di attività professionale nel Turismo.
Questo, in cui ti trovi, è il mio Blog ” Viaggio-CentroSudAmerica“, in cui racconto in più di 1050 post le straordinarie bellezze del Guatemala e dell’America latina (alla fine di questo post potrai conoscere meglio chi sono 😊
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Storia di El Mirador
Gli archeologi stimano che El Mirador nacque intorno al III secolo a.C., quando la civiltà maya muoveva i primi passi verso le grandi architetture di pietra.
Tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C. la città conobbe il suo apogeo: oltre 200 000 abitanti, una fitta rete di bacini per la raccolta dell’acqua piovana e imponenti piramidi triadiche rivestite di stucchi bianchi.
Poi – per ragioni ancora discusse, forse guerre interne o esaurimento delle risorse – l’insediamento fu abbandonato e la selva ne cancellò i sentieri.
La “riscoperta” moderna risale al 1926, quando il chiclero Fidel León Hernández (chiclero indica i raccoglitori di chicle, la gomma naturale estratta incidendo la corteccia del sapodilla (Manilkara zapota) annotò rovine monumentali durante una spedizione di raccolta del lattice.
Dovettero, però, passare trent’anni prima che Ian Graham – pioniere della cartografia maya – mappasse seriamente l’area.
Negli anni Settanta l’antropologo Bruce Dahlin e, poco dopo, l’archeologo Ray Matheny avviarono gli scavi sistematici, svelando bacini idraulici, calzadas sopraelevate e mascheroni alti otto metri.
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Oggi il progetto Cuenca Mirador, coordinato da Richard Hansen, continua a scavare e a proteggere il sito dal saccheggio di manufatti in stucco.
El Mirador non fu una città isolata: costituiva il centro di una costellazione di insediamenti collegati da strade rialzate larghe venti metri
Cosa vedere a El Mirador
Complesso El Tigre
Avvicinandoti dal campo base Tintal–La Muerta, la prima piramide che appare è El Tigre: 55 metri d’altezza, tre templi sulla sommità e un’enorme piazza cerimoniale. Salire i gradoni consumati dal tempo richiede fiato e prudenza, ma la vista sulla giungla vale l’impresa: un tappeto verde senza strade né antenne, interrotto solo da picchi di pietra che segnalano altre rovine.
La Danta, il colosso nascosto
Proseguendo lungo la calzada principale si raggiunge il gioiello del sito: la piattaforma de La Danta.
Con i suoi 70 metri d’altezza e un volume stimato di venti milioni di metri cubi, supera di gran lunga le piramidi di Giza. Il percorso per arrivare in vetta serpeggia tra terrazze ricoperte di radici e liane. In cima, nelle giornate terse della stagione secca (dicembre–aprile), si scorgono le cime di Calakmul in Messico e, verso sud, la sagoma scura dei vulcani del Guatemala.
Los Monos e la Grande Acropoli
Il gruppo Los Monos ospita mascheroni in stile Preclassico raffiguranti giaguari celesti e signori seduti su troni serpentiformi.
Poco più a nord la Grande Acropoli Centrale racchiude templi triadici, cortili residenziali e il palazzo amministrativo che curava la raccolta e la ridistribuzione del mais. Studiare queste architetture aiuta a capire l’origine dei canoni estetici che ritroverai, in forma evoluta, a Tikal qualche secolo più tardi.
Piramide El León e gli altari di stucco
El León, più modesta in altezza (circa 30 metri), conserva altari in stucco ancora policromi: un privilegio raro, protetto da tettoie di lamiera ed equipaggi di studenti volontari che spazzolano licheni con setole di nylon.
Orientarsi sul campo
Il sentiero principale – largo due metri e segnato da frecce rosse dipinte sui tronchi – collega i campi base Tintal, La Muerta e Nakbé prima di entrare a El Mirador. Le guide comunitarie Q’eqchi’ portano mappe plastificate con coordinate GPS; la copertura telefonica è assente, quindi avvisa i familiari che resterai offline per una settimana.
Trekking a El Mirador: l’avventura nella giungla
Raggiungere El Mirador non è una semplice passeggiata: è un’immersione di cinque giorni nel polmone verde del Petén, dove il sentiero — spesso fangoso, sempre profumato di terra bagnata — segue antiche sacbé sopraelevate costruite dai Maya oltre duemila anni fa.
Camminerai sotto archi di ceiba altissime, con i tucani che fischiano da rami invisibili e, se sei fortunato, il guizzo di una scimmia ragno che salta da un ficus all’altro.
La notte, dal campo tende, potresti sentire il richiamo delle scimmie urlatrici o, più lontano, il ruggito del giaguaro — ricorda che attacca solo prede facili, quindi tieni il cibo ben chiuso e la torcia a portata di mano.
Le giornate cominciano presto, spesso prima dell’alba: l’aria è fresca, le foglie stillano rugiada e il terreno offre ancora un po’ di aderenza.
Le tappe richiedono tra le sei e le otto ore di marcia; è fondamentale presentarsi con un buon livello di allenamento aerobico, spalle abituate allo zaino e scarponi già rodati. Il premio?
Arrivare al bordo della piramide El Tigre, sederti sui gradoni erosi dal tempo e guardare la giungla che diventa rosa sotto il sole nascente, senza un’anima intorno.
Tutto il portage — tende, viveri, acqua potabile — è gestito da mulattieri della comunità Carmelita; tu dovrai concentrarti su passo, idratazione e curiosità.
Sulla penultima terrazza di La Danta le guide mostrano i frammenti di stucco originale: un viso di sovrano con pupille d’ossidiana ancora incastrate nell’intonaco.
Toccare è vietato, ma puoi fotografare (senza flash) e chiedere il perché di quelle pupille brillanti: scoprirai che i Maya legavano lo sguardo del re alle stelle, un dettaglio che dà senso agli allineamenti astronomici di tutte le grandi città, dai vulcani del Guatemala fino alle coste dello Yucatán.
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Quanto è duro il trekking?
Il sentiero è quasi sempre pianeggiante, ma il caldo (30 °C medi con umidità oltre l’80 %) lo rende impegnativo. Le piogge — da maggio a ottobre — trasformano il fango in una colla che rallenta il passo; nella stagione secca la polvere finissima entra ovunque.
Ti serviranno:
due litri d’acqua d’avvio, poi integrazione con i bidoni di purificata che trovi ai campi;
sali minerali in bustine, da sciogliere ogni giorno;
camicia tecnica a maniche lunghe per proteggerti dal sole e dalle punture di zanzara;
e, non ultimo, la capacità di marciare in fila senza superare la guida: la giungla ospita fer-de-lance e piccoli corallini, serpenti che non gradiscono sorprese.
Percorsi di trekking di 5 giorni
Dal “Mundo Maya” a El Tintal
Atterri all’aeroporto Mundo Maya di Flores, capitale del Petén; in un’ora di pista rossa raggiungi la comunità Carmelita, cooperativa che gestisce i permessi di ingresso e forma le guide Q’eqchi’.
Dopo un briefing su sicurezza e paleontologia del sito (utile per capire il suolo calcareo che camminerai), entri nel bosco. In quattro ore arrivi al campo El Tintal: primo assaggio di rovine, una piramide di quaranta metri avvolta da strangolatori di ficus.
Traversata Tintal–Mirador
Il secondo giorno è il più lungo: 26 km lungo la calzada, la “super-strada” bianca che collegava le capitali preclassiche. Il sentiero è ombreggiato ma spezza il fiato per l’umidità. Sosta a La Muerta: due piramidi più piccole con mascheroni di scimmia, prima anteprima dello stile triadico.
Nel tardo pomeriggio, arrivi all’accampamento di El Zompopero e, mezz’ora dopo, al plateau monumentale di El Mirador: il tramonto dal complesso El Tigre infiamma chilometri di selva.
Giornata intera su La Danta
Il terzo giorno rimani dentro El Mirador: visita guidata al fregio degli Eroi Gemelli, alla piramide Los Monos e alla Grande Acropoli, poi salita pomeridiana ai 70 m di La Danta per il crepuscolo. Sono gradini alti mezzo metro, scavati dal piede di milioni di pellegrini antichi: sali lento, fermati a metà a bere e goditi la brezza.
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Ritorno e Henequén al tramonto
Quarto giorno: rientro a El Tintal, meno caldo perché il corpo si è adattato e la foresta offre ombra regolare. Al calar del sole sali sulla piramide Henequén — forse un osservatorio — per rivedere il percorso appena compiuto: la linea bianca del sacbé si distingue ancora fra il verde smeraldo.
Ultima tappa verso Carmelita
Quinto giorno: colazione all’alba e ritorno alla civiltà. Di solito arrivi a Carmelita verso le 13; doccia fredda, pranzo comunitario e trasferimento in fuoristrada all’aeroporto di Flores. Da lì, puoi volare a Città del Guatemala o proseguire in shuttle verso Rio Dulce per un meritato bagno d’acqua salata.
Perché non andarci da solo
La selva è labirintica e la segnaletica quasi inesistente. Il rischio non è il giaguaro, ma perdersi, finire l’acqua e trovarsi senza GPS con batteria. Inoltre solo le guide locali possono aprire i cancelli di accesso, gestiti dalla Conap (ente parchi) e dalla cooperativa Carmelita.
Con loro sostieni l’economia comunitaria e accedi a racconti che nessuna guida cartacea possiede — storie di scavi clandestini, di petroglifi ancora sepolti e di come il copal serva tuttora nei riti Q’eqchi’.
Cosa portare: equipaggiamento essenziale
Nel Petén la giungla è un organismo vivo: umida, densa, capace di sorprender-ti con un temporale tropicale a mezzogiorno e un sole feroce un’ora dopo. Per questo il tuo zaino non può essere un terno al lotto ma una piccola cassetta degli attrezzi studiata al grammo.
Servono dieci cose, né una di più né una di meno.
Primo: una crema solare minerale ad alta protezione; la foresta filtra la luce ma sui sacbé esposti non c’è pietà.
Secondo e terzo: giacca impermeabile leggera e sacco-lenzuolo in cotone, indispensabili la notte – l’umidità schizza al 95 % e l’escursione termica sorprende sotto la tenda.
Quarto: la tua farmacia portatile (antistaminico, antibiotico a largo spettro, loperamide, cerotti idrocolloidali per le vesciche).
Quinto: repellente con 30 % DEET, vero scudo contro la zanzara che trasmette la dengue.
Sesto: lampada frontale a LED con batterie di scorta; dentro i templi di El Mirador il buio è assoluto e il fascio ti salva la caviglia.
Settimo: dieci salviette umide biodegradabili al giorno – niente docce in mezzo alla selva.
Ottavo: scarponcini da trekking già rodati, suola Vibram scolpita; la fanghiglia del sentiero inghiotte le sneaker in venti minuti.
Nono: due completi in tessuto tecnico a rapida asciugatura; lavali la sera, saranno quasi asciutti al mattino.
Decimo: borraccia filtrante da un litro; ai campi trovi taniche di acqua purificata, ma lungo il cammino potrai attingere direttamente – con il filtro – dalle pozze limpide che sgorgano dal karst.
Periodo migliore per visitare
Per goderti un cielo terso sulla piramide La Danta programma il cammino tra dicembre e aprile, la stagione secca.
Le temperature restano calde (28-32 °C di giorno) ma il terreno drena e il fango non supera la caviglia.
Da maggio in poi comincia il festival dei temporali pomeridiani: le radici diventano sapone, i rami caduti si mimetizzano sotto le pozzanghere e le tappe si allungano.
Ad agosto, se sei abbastanza avventuroso, il sentiero è un corridoio di farfalle morfo e rospi foglia: esperienza memorabile, a patto di accettare che la pioggia possa bloccare i mulattieri per qualche ora.
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Con il pacchetto trekking comunitario non devi impazzire con la logistica: nella quota sono compresi guida locale bilingue, cuoco da campo, mulattieri con cavalli per i bagagli pesanti, tende igloo, materassini, tre pasti abbondanti al giorno, snack energetici, acqua filtrata, trasferimenti a/r da Carmelita e i permessi Conap per l’ingresso in area protetta.
Tu metti gambe e curiosità, loro pensano a riso con verdure, pollo al mojo, tortillas calde e perfino un caffè d’altura del lago Atitlán al risveglio.
Non serve portare denaro per acquistare cibo lungo la rotta: non c’è nulla da comprare se non, al rientro, qualche souvenir del Guatemala nel piccolo negozio della cooperativa.
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Consigli aggiuntivi
L’accesso a El Mirador è regolato: la guida deve registrare il gruppo all’ufficio Conap di Carmelita e riportare il numero di passaporti. Senza quel timbro, ai check-point nella selva vieni rimandato indietro.
La giungla ospita insetti festaioli: copri le caviglie con calze alte, raccogli i pantaloni dentro gli scarponi e controlla la pelle ogni sera per le zecche minuscole. Serpenti? Quasi tutti schivi; cammina in fila indiana, fai rumore con i bastoncini e ricordati che la fer-de-lance preferisce il crepuscolo.
Porta quetzales in banconote piccole: a Flores o Carmelita potresti voler lasciare una mancia (circa 50 GTQ al cuoco e 30 GTQ a ogni mulattiere per cinque giorni di lavoro pesante). Il dollaro USA è accettato, ma il resto ti verrà dato in moneta locale.
In Viaggio a El Mirador e in Guatemala con Roberto Furlani
Organizzare da solo il «trekking dei cinque giorni» significa coordinare cooperativa, trasporti, alimentazione, permessi, assicurazione medica e briefing di sicurezza.
Posso pianificare il tuo volo su Città del Guatemala o direttamente su Flores, prenotare il trekking , organizzare il rientro a Antigua o il proseguimento del tuo viaggio in Guatemala.
In più ricevi il mio e-book gratuito «Dal Tikal a El Mirador: dizionario di sopravvivenza Maya», dove trovi glossario di 50 parole Q’eqchi’, consigli nutrizionali e la tabella di marcia ottimale per acclimatarti senza colpi di calore.
Sono Roberto Furlani, esperto di Centro-Sud America e del Guatemala (per cui, come tour operator, ho creato più di 17 programmi di viaggio) e ho oltre 32 anni di attività professionale nel Turismo.
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Mi chiamo Roberto Furlani e lavoro con passione nel Turismo da oltre 32 anni, di cui 15 passati a dirigere l’Ufficio Turismo del WWF Italia (Fondo Mondiale per la Natura) e 12 come Tesoriere di AITR (Associazione Italiana Turismo Responsabile).
Grazie anche a questa ricca esperienza sono oggi Responsabile Prodotto e Tour operator per Evolution Travel (il Network che conta più di 600 consulenti di viaggio on line), per cui ho creato più di 120 programmi di viaggio, con cui potrai scoprire il Centro-Sud America!
Troverai tutta la mia storia nel “chi sono”; aggiungo solo che per 22 anni sono stato giornalista pubblicista delle pagine scientifiche del Corriere della Sera.
E’ stato così per me estremamente naturale dare vita al Travel Blog Viaggio Centro Sud America in cui ti trovi e creare più di 900 post e video che, spero, ti aiuteranno a conoscere e amare intensamente come me questa Regione del nostro Pianeta.
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